Quei santi montanari così «filosofi»

Tratto da l' "Adige" del 20 Agosto 2008
di Alberto Piccioni





Fausto Pajar racconta le grandi figure «d’alta quota», compresi diversi personaggi trentini.

Una schiera di santi montanari, specchio di una religiosità, forte, profonda e radicata, tipica delle genti alpine. Li racconta Fausto Pajar, giornalista di origini trentine, nel suo libro «Santi Montanari» (edizioni Biblioteca dell’immagine), dopo una accurata ricerca sulle fonti popolari, in Trentino e in tutto l’arco alpino. «Quando stavo scrivendo il libro "Aquile, falchi, orsi e camosci" – spiega l’autore - mi sono reso conto che sulle montagne esistevano una miriade di piccole edicole, dedicate a santi, la cui identità mi era sconosciuta, ma non alle genti che quei luoghi abitano da
sempre. Così è successo in un bosco della valle di fiemme: c’era una piccola edicola dove l’affresco centrale era completamente sbiadito. Chiesi ad un boscaiolo di cosa si trattasse e questo quasi si arrabbiò: “Non vede il drago? È San Giorgio!”. Mi resi conto che dove io non vedevo più nulla esisteva in realtà un immagine ben impressa nel cuore di quell’uomo. Per questo ho voluto
raccogliere una tale ricchezza in un libro».
Santi trentini ce ne sono molti, dai più conosciuti martiri anauniensi (Sisinio, Martirio e Alessandro) a quelli meno noti come Benigno e Caro di Malcesine, eremiti del monte Baldo, richiamati dal vescovo di Verona perché accusati di «tenere contubernio» con una certa
Olivetta. La loro storia, legata a delle rape miracolose, è a lieto fine e il vescovo riconoscerà la loro santità.

Pajar, che tipo di religiosità emerge da questi santi?
«Viene fuori che i montanari in realtà sono dei filosofi, pur non avendo studiato filosofia. Capaci di vedere il meglio che la natura sa offrire. Sanno soffrire, parla poco di moda oggi, e affrontare le avversità della vita con un minino di distacco e serenità. Con una forte capacità di gioire per il dovere compiuto».

Ma i santi chi sono?
«Persone normali, che per la loro straordinaria capacità di dedicarsi ai deboli e agli emarginati, assumono un valore massimo agli occhi della gente di montagna. È il caso di Notburga di Eben, una delle prime “sindacaliste” della storia. Con la sua tenacia nel cercare di non far morire di fame i contadini riesce ad ottenere dai “padroni” un miglior trattamento per tutti».

Che cosa conta di più per lei: la veridicità delle storie che narra o il loro valore popolare?
«Sicuramente il valore che hanno per lepersone. È il “sensus fidei” che esprimono, la cultura che hainterpretato la storia dei santi. In realtà io voglio raccontare le splendide montagne e le persone che ci abitano. Ma anche le leggende che vengono tessute intorno ai luoghi e alle persone,
diventano “reali” nel momento in cui sono vissute con forza e devozione dalla gente».

Qual è il santo cui lei è più legato?
«Uno che ha scalato le vette, ma non figura però tra i santi montanari: don Giovanni Bosco. Ho studiato dai salesiani e ancora mi considero un alunno salesiano».

Con questo libro ha esaurito i santi delle montagne o ce ne sono altri di cui parlare?
«Nel martirologio romano sono più di 6000. Nel libro ho voluto fare una prima selezione, ma è solo “un granello di sabbia” nel mare delle figure dei santidella montagna».

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