Dolomiti, rischio Far West: un pericolo reale

Tratto da: "Corriere del Veneto" del 23 Marzo 2010





Intervista al docente dell'università di Padova che ha collaborato alla candidatura per il riconoscimento di "patrimonio dell'umanità" da parte dell'Unesco

Dolomiti, rischio Far West: un pericolo reale

Franco Viola: preoccupano certe dichiarazioni, ma ci sono gli anticorpi contro gli affaristi. Ladini, impegno prezioso.


A conclusione del dibattito sulle prospettive che si aprono alla terra dolomitica con il riconoscimento di Patrimonio Unesco interviene il professor Franco Viola, docente universitario al un corso di laurea in Scienze forestali del Dipartimento Territorio e Sistemi agro forestali all'università di Padova. Dopo un excursus cronologico, l'illustre decente, che al progetto Dolomiti Unesco ha lavorato per dieci mesi, suggerisce - sulla base delle proprie conoscenze scientifiche e umane - tempistica e metodologia per valorizzare al meglio le opportunità che ora si presentano alla terra Ladina.

-Egregio professore lei si occupato delle Dolomiti per ragioni professionali e scientifiche da molto tempo, viole spiegare perché?
"Mi sono occupato e mi occupo della montagna, e dunque anche delle Dolomiti, per passione e per mestiere. Le Dolomiti in particolare sono montagne speciali, non conoscono mezzi termini. Qui tutto è esaltato, nel bene e nel male. Bellezza, paura verticalità, fatica, lo stesso clima, colori e scene, tutto è più forte, di sicuro impatto. Ho avuto una duplice fortuna in questo senso: ho potuto per lavoro frequentare San Vito nella valle del Boite, dove l'Università in cui insegno gestisce un Laboratorio d'Ecologia. Fare ricerca in quel contesto dalla Croda Rossa d'Ampezzo al Duranno, dalle Tre Cime alla Marmolada, per restare "vicini" al Laboratorio, è un privilegio che pochi possono permettersi. La seconda fortuna è stata di poter insegnante in un Corso di laurea in Scienze forestali. In particolare ho sviluppato molta ricerca applicata, operativa. Le esperienze più belle sono state quelle inerenti lo sviluppo, in collaborazione con altri, di qualche Piano territoriale, come quelli di alcuni Parchi della regione dolomitica: Paneveggio-Pale di San Martino, Dolomiti d'Ampezzo, Dolomiti Bellunesi, Adamello-Brenta, e quelli di tante altre realtà protette, più piccole, ma non per questo meno importanti".

-Quale è stato il suo ruolo nel Progetto Dolomiti-Unesco?
"Mi è stato chiesto di partecipare alla redazione del documento di candidatura nella prima fase dell'impresa, quella avviata dalle cinque Province e dal ministero dei Beni culturali, nel 2005 e conclusa in prima battuta nel settembre dello stesso anno e, in seconda battuta a fine gennaio 2006. In quella circostanza ho diviso l'impegno e la fatica con altri tre coleghi professionisti e con una motitudine di amici e tecnici delle Province candidanti. Ricordo Pietro Gianolla, geologo dell'Università di Ferrara, Cesare Lasen, botanico ovunque conosciuto, anche per il suo impegno di presidente del Parco Dolomiti bellunesi, Michele Cassol, forestale e faunista di grande esperienza e di indubbio spessore scientifico. Non c'è spazo per elencare tutti gli amici delle Province che hanno contribuito all'impresa: non se ne abbiano a male, sono certo che capiranno. I primi tre andavano invece citati per un motivo tecnico oltre che professionale: l'accordo interprovinciale e tra le Province e il ministero di riferimento era di produrre la documentazione di candidatura facendo leva su tutti e quattro i 4 criteri naturalistici previsti dalla Convenzione Unesco. E' stata una scelta fondamentale, perché candidava le nostre montagne dichiarandole eccellenti per i loro caratteri scenici e paesaggistici, per quelli geologici e geomorfologici, per quelli biologico-naturalistici e per quelli ecologici ed ecosistemici. Dunque un'eccezionalità-unicità di rango mondiale per tutti gli aspetti biotici e abiotici di cui si compone la natura di questi luoghi. Ciascuno dei professionisti incaricati dell'impresa aveva da curare, per le proprie competenze, uno specifico criterio. A me è stato chiesto di curare anche il coordinamento del lavoro, forse anche per la mia duplice qualificazione di ecologo e pianificatore. Per questo mi venne affidato anche l'incarico di stendere anche il Piano di Gestione delle Dolomiti patrimonio mondiale. il documento di firerimento nella futura gestione del bene, nel caso fosse diventato parte di World Heritage List. A posteriori devo dire che l'avventura è stata splendida sotto il profilo umano, ma assolutamente logorante: si è dovuto costruire il metodo di un lavoro, di cui nulla si sapeva, in collaborazione stretta con decine di collaboratori appunto. Il cronoprogramma di dieci mesi non prevedeva pause, ferie, stanchezza: si contavano le ore. Ma abbiamo rispettato le scadenze. Già questa è stata una vittoria".

-Lei ritiene che le Dolomiti possano dientare una sorta di Far West, una terra di conquista per speculatori di vario genere?
"Se il Paese Italia (non sono state le Province, ma lo Stato, a candidare le Dolomiti) ha dichiarato con questo atto di candidatura la volontà di provvedere alla tutela del Bene, dovrebbe essere alimentata la speranza che le Dolomiti non divengano bersaglio di male intenzionati affaristi. Certo è che le molte dichiarazioni rilasciate da personaggi che contano nella politica e nell'economia, all'indomani dell'accettazione Unesco, non danno molto a sperare per un futuro di valorizzazione sana e corretta delle nostre montagne. Il rischio c'è. Ma ci sono anche le persone giuste perché si crei e si diffonda e si rafforzi una cultura di lavoro e di impresa per una crescita economica senza degrado. L'aver creato e mantenuto un paesaggio degno d'essere Patrimonio Mondiale è attività cui va riconosciuto valore e che, in qualche modo, va dunque pagata, ricompensata. Spetta alla gente delle Valli dolomitiche far valere questo loro impegno passato, e dunque difendere e valorizzare la cultura che ne sta alla base. Questa cutura è incompatibile, io credo, con la cultura di conquista che lei evoca con la locuzione Far West".

-Secondo lei quindi le Dolomiti patrimonio Unesco sono anche un riconoscimento ai Ladini come custodi millenari di valori culturali e ambientali impareggiabili?
"Al popolo dei Ladini va certamente riconosciuto un ruolo imporantissimo nella costruzione di una cultura montanara basata sul rispetto e sul mantenimento del capitale naturale, che è anche un capitale economiche che frutta reddito, non si può dire però che ciò non valga anche per altri popoli, che forse con altri percorsi storici e di metodo hanno saputo conquistare risultati altrettanto validi sul piano della gestione attenta del loro territorio. Credo sia assolutamente corretto e doveroso tenere alta la bandiera di un'appartenenza ad un gruppo ben preciso nel quale ci si intentifica e al quale si senta debba essere riconosciuto un merito per il mantenimento dei valori che oggi sono esaltati dall'Unesco. Ottimi dunque in questo contesto i risultati ottenuti dai Ladini, che sono ricchi di storia e carichi di meriti. Da parte mia viene l'invito a seguitare su questo cammino, ma anche a non trincerarsi sugli allori del passato, guardando piuttosto ad integrare,valorizzandoli, i propri meriti con quelli degli altri popoli vicini. Guai a perdere la propria identità in un contesto che produce rapidamente globalizzazione, che per molti versi è sinonimo di perdita di qualità, di degrado, di livellamento verso il basso. Ma questo non deve significare isolamento, nemmeno culturale, perché l'ecologia ci insegna i pregi della diversità, che è dare e ricevere contributi, che è motivo di forza, di resistenza, di ricchezza".

-Che cosa si può dire in conclusione dopo questa articolata disamina?
"Mi ha molto colpito il grande entusiasmo manifestato, dopo l'approvazione della candidatura, da molti importanti personaggi che poco o nulla avevano avuto consapevolezza del difficile cammino percorso. Mi hanno soprattutto colpito le molte considerazioni al riguardo della portata economica di questo successo italiano, e le sottolineature sul valore aggiunto all'area dolomitica in un contesto di economia turistica. Chi si è espresso in questi termini ha dimostrato poca attenzione per i contenuti della Convenzione Unesco e per il vero significato del cammino di cultura compiuto dal Pese e dalle cinque Province. Bisognerebbe che si meditasse almeno un poco sul ritiro della prima candidatura. Di fatto è stata una scelta obbligata, pena la bocciatura da parte dell'Unesco e l'impossibilità di riprendere daccapo il medesimo cammino. Si è dunque trattato di una mezza vittoria e di una mezza sconfitta. Non che i valori naturalistici non fossero evidenti e non degni della dichiarazione di eccezionalità! Si è imputata al nostro sistema amministrativo e gestionale una scarsa attendibilità quando si impegnava a proteggere le parti più preziose e vulnerabili del patrimonio di casa. E' probabile che qualcuno negherà questa evidenza; ma non passa giorno che non vi sia qualche nuova aggressione,spesso ignorata, ai gioielli naturali del nostro Paese, che sono una ricchezza collettiva. Una volta sperperato il capitale, nulla resterà ai nostri figli. Lo sapevano i montanari di un tempo, ma la loro saggezza sta svanendo, come il suo ricordo. La speranza è che ora si riaccenda l'orgoglio, e che si operi al meglio per mantenere eccezionalmente bella, sicura e confortevole la nostra casa comune".
FAUSTO PAJAR

TasteVin Febbraio/Marzo 2010

CAPANNELLE, LA CANTINA PERSONALE DI "MISTER ORIENT EXPRESS"






Prosit, mister Sherwood!
Stappare oggi una bottiglia di Capannelle, quello stesso vino presentato sull'Orient Express nell'atmosfera Bella Epoque voluta da Helmut Koecher per presentare Merano WineFestival, è stato un rito di gratificante lussuria per la gola e per l'anima e mi ha spinto a cercare padre e madre di cotanto vino di nobilissima terra senese di Gaiole in Chianti. A cercare, cioè là dove le colline parlano Sangiovese aulico e risvegliano memorie di religiosità medioevale nel non lontano monastero di Monte Oliveto, affrescato con mani mirabili dal Sodoma e invaso, nella grande basilica, dal diffondersi del canto del salmista dalle bocche di 35 venerabili frati che pur essi, oltre che all'anima, si dedicano alla coltivazione della vite proprio vicino a quella terra di San Giovanni d'Asso che è miniera di tartufi e rifugio di branchi di lupi appenninici. Là, là, poco lontano da questo serbatoio speciale di delizie spirituali, culturali e naturalistiche, proprio sulle colline di Gaiole, sta l'azienda agricola Capannelle, che sarebbe poi il buen ritiro con cantina personale di quel mister Sherwood al quale ho brindato all'inizio per riconoscergli merito eccelso di vigniaiuolo dai mille interessi. Lui, americano di Pennsiylvania che di nome fa James B. ,classe 1933, con laurea in economia a Yale e residenza british, è ben noto al pubblico italiano per le sue performance di capitano d'industria. Che dico capitano, di generale del mondo degli affari partito nel 1965 con l'idea dei trasporti marittimi e appena centomila dollari per fondare, con sede alle Bermuda, la società Sea Containers che solca i mari portando a destinazione quei grandi scatoloni metallici che sono fondamento della logistica razionale e veloce. Ma forse, ai non addetti ai lavori, lui è più noto per essere quello che ha rimesso sui binari l'Orient Express, il mitico treno che agli inizi dell'altro secolo trasportava da Parigi, nel cuore dell'Europa, a Istanbul, sul Bosforo, alle soglie del misterioso Oriente, dame e cavalieri di gran censo in carrozze di sofisticata bellezza per il design, per lo stile e per il servizio di bordo equiparato a quello di un hotel di lusso. Le carrozze originali di quel mitico treno era andato a cercarsele, una a una, dove il destino le aveva relegate per divenire una volta ristorante, una volta abitazione, insomma dove il destino le aveva condannate all'immobilità. Loro - le carrozze dico - avevano infatti sempre ruote ben solide di ferro e vocazione per correre ancora il mondo come l'avevano corso per decenni da un capo all'altro dell'Europa allora ancora solidamente in mano alle grandi monarchie continentali. Le prime due le aveva comprate all'asta nel 1977 da Sotheby's a Montecarlo e poi, con mirati interventi finanziari ne aveva acquisito una qua e una là, mettendo assieme 35 vagoni e le carrozze ristorante. Oggi quel treno antico e modernissimo pieno di fascino e nel target del lusso più elegante e di charme si chiama "Vsoe", acronimo di "Venice-Simplon Orient Express", in servizio da marzo a novembre sulla linea Venezia-Londra. Ma se al giro d'affari dell'infaticabile pennsylvano si andavano aggiungendo gioielli strepitosi come gli alberghi Cipriani a Venezia, Splendido a Portofino, Villa San Michele a Firenze, Caruso a Ravello (solo per restare in Italia, perché molti altri ne possiede in comproprietà con i figli, in giro per il mondo) l'innamoramento per il vino italiano è stato colpo di fulmine a Gaiole, dove s'è scelto il vigneto personale ("Guarda il calor del sol che si fa vino giunto all'umor che dalla vite cola" dice Dante) per condividere le delizie del Chianti e del suo vino inimitabile con amici e anche con tutti coloro che desiderano accedere all'eleganza del gusto e al piacere della bevanda sacra di Noè. Così con l'enologo Simone Monciatti e il responsabile marketing Manuele Verdelli, ha dato alla luce vini pregiati come Capannelle, come 50&50 e Solare che se possono ben essere descritti dai sommeliers con precisione scientifica, anche il degustatore semianalfabeta percepisce appieno pur senza le parole dotte. Da 16 ettari di vigneto collinare arrivano sulle tavole 70mila bottiglie delle varie etichette, elevate in botte o in barrique. E' intuibile, a questo punto, che Capannelle s'inserisce nella fascia più alta del mercato e nobilita le cantine di ristoranti e hotel di grande prestigio in tutto il mondo. L'obiettivo della sublime qualità è stato raggiunto attraverso passaggi meticolosi e curati con la selezione attenta dei cloni, moderne metodologie di coltivazione, bassa produttività, tecnologie d'avanguardia in cantina, cura dei dettagli. Alla vocazione all'eccellenza s'unisce l'attenzione per gli amici, i clienti. Infatti, un caveau blindato custodisce 8000 bottiglie per i più esigenti che accantonano in cantina la produzione scelta per il proprio ristorante o la propria mensa privata, perché "il vino - come affermava Renault - è la parte più intellettuale del pranzo". E appunto per distinguere gli intellettuali più raffinati la retroetichetta di ogni bottiglia può anche essere personalizzata, come a dire che quella scelta è meditata e voluta. Un blasone d'antica memoria in un vino contemporaneo d'ineguagliabile spendore.
Prosit, mister Sherwood!

Parlano di me...

dal Corriere della Sera



"Dolomiti il marchio Unesco è solo marketing"

Da "Corriere del Veneto" martedì 9 Marzo 2010




L'ampio dibattito sulle Dolomiti e il loro futuro, che si sta svolgendo in questa pagina ormai da alcune settimane, rappresentando posizioni e voci di divesa provenienza e formazione, si arricchisce oggi del contributo di Marcello Cominetti.
Personaggio dal carattere spigoloso (la definizione è sua e non posso che condividerla), Cominetti, classe 1961, è un alpinista che viene da quel mare ligure (è nato a Genova) dove le Alpi hanno inizio e vive ormai - quando non è in giro per il mondo - a Corvara in Alta Badia da oltre un quarto di secolo. La sua è una voce autorevole. E' la voce di un esperto di grande spessore che ha conosciuto attraverso imprese importanti sulle montagne dell'Himalaya, del Sud America e dell'Africa luoghi e genti molto diversi tra loro ed ha accumulato uno spirito di pragmatica saggezza che gli consente di esprimere con toni inequivocabili un giudizio sul futuro delle valli dolomitiche a partire dall'inserimento delle Dolomiti nei siti Unesco dell'Umanità per arrivare alla dibattuta questione - non di poco conto per la gestione oculata dell'ambiente - dei pedaggi per i transiti sui valichi. Ecco critiche e proposte. -E' arrivata l'Unesco sulle Dolomiti. Finalmente o no? Direi né una né l' altra cosa. Questo obiettivo a lungo perseguito anche da persone oneste, in verità nasconde tra i promotori persone che difendono i propri interessi anzichè quelli delle montagne e i loro abitanti. Queste persone sono tra gli abitanti delle Dolomiti, ma sono coloro che le sfruttano e basta e sono cieche di fronte al guadagno monetario senza calcolarne il costo in termini di valori assoluti. Ho visto luoghi nel mondo cui il patronato Unesco ha dato notorietà, è stato sbandierato a soli scopi pubblicitari (come sta succedendo ora qui) e in pochi anni si sono rovinati per offrirsi a un pubblico sempre più "comodo" e spendaccione. Sarei curioso di chiedere ai titolari degli esercizi che appongolo il marchio UNESCO ai loro depliant patinati e siti Internet, se sanno cos'è l' UNESCO e i suoi principii. -Quale è la priorità assoluta, oggi, per il territorio dolomitico? La salvaguardia della propria identità se si parla di persone e quella dei siti naturali che restano autentici per farli conoscere alle generazioni future. Non occorre aggiungere altro, ma semmai fermarsi. -E poi quali altri interventi sarebbero necessari per tutelare la gente che vi abita stabilmente e che in sostanza ha sempre tutelato le Dolomiti come patrimonio delUmanità? Divisi in più province e regioni, gli abitanti delle Dolomiti non hanno certo vita facile dal punto di vista politico e semmai finora sono stati sfruttati per beceri giochi a livello locale dalla politica da bar o poco più. Occorrerebbe che ogni Comune dal suo interno si sensibilizzasse a quello che sarà il futuro di queste vallate. Per fare ciò, in ogni giunta dovrebbe esserci un "foresto", uno che veda situazioni e luoghi con occhio critico e diverso da chi è nato nella terra che governa. La diversità è ricchezza.- Ritiene che l'emblema Unesco possa portare qualche vantaggio alle genti che vivono da sempre nelle Dolomiti? Forse lo porterà a quelle zone meno note i cui abitanti crederanno di potere così alzare il loro benessere e permettersi un' auto più bella e una casa dalle finestre più grandi. Ma oggi penso che per fare un turismo sensibile all' ambiente (che è fatto anche da chi ci vive), perchè da quest' ultimo trae gli elementi necessari alla sua esistenza, si debba lavorare sul "piccolo" e su quello che si ha da offrire con onestà e autenticità. In sede diversa potrei fare degli esempi. La patacca UNESCO può servire a queste località come mezzo per farsi conoscere, ma non credo sia il solo possibile. Oggi c' è Internet e ho visto posti che da remoti e sconosciuti hanno saputo farsi una clientela di estimatori intelligenti e sensibili al semplice. Turismo non vuol dire solo funivie, wellness e Sellaronda, ma anche tranquillità e ritorno alle origini, pur con i mezzi che il mondo moderno offre ma senza credere che sia necessario l' inutile. Come in alpinismo, e non solo, "togliere" è più efficace che aggiungere se si fa in maniera sapiente.-Cosa pensa della proposta di instaurare un pedaggio per i transiti sui valichi? Che è una forma di ladrocinio totalmente inutile. Se si vuole regolamentare e limitare il flusso di traffico bisogna chiudere a orari e favorire semmai chi si sveglia presto la mattina per godere dell' alba piuttosto che solamente chi ha un portafogli più gonfio. Inoltre chiedendo un pedaggio cosa si offrirebbe a chi transita a pagamento?-Sicuramente lei avrà anche altre considerazioni da fare? Ne avrei infinite. Ma la penultima domanda mi ha fatto pensare al fatto che la maggior parte dei turisti, vive così male, che quando è spennata come polli, trattata a pesci in faccia e fatta oggetto di sfruttamento e nulla più, è comunque remissiva e si adatta a meraviglia, perchè è in vacanza. Questo assogettarsi automatico e ignorante provoca molti più danni di quanto si pensi, perchè l'offerta si adatta istantaneamente alla domanda per i motivi di cui sopra e una soluzione che passi attraverso l' educazione anzichè la repressione sarebbe scomoda e costosa.
Oggi si leva la geografia dalle scuole elementari mentre alcuni nostri politici vengono beccati con prostitute e cocaina, così l' attenzione si distoglie dai veri problemi e i media la spostano a loro piacimento su chi tiene alti gli indici di ascolto.
Ma io ai miei figli ho messo sul comodino un bel mappamondo, che oltretutto funziona anche da abat-jour.

FAUSTO PAJAR.

"Enonauti stravaganti e vip cercano benessere nel vino"

In TasteVin N.6 Dicembre 2009/Gennaio 2010



Enonauti stravaganti e vip cercano benessere nel vino

di FAUSTO PAJAR



E’ facile schierarsi – dapprima l’avevo fatto anch’io – con coloro che deprecano la nuova mania, d’origine francese (Bordeaux), poi Usa e ora anche italiana, di fare il bagno –intendo fisicamente, per immersione- nel vino, preferibilmente rosso. Un rituale bacchico rovesciato, come molte delle cose che, essendo state mal assimilate in gioventù, riemergono –al contrario, come per una legge del contrappasso- in periodi più o meno allucinati, quando gli anni maturano. Infatti, come non è detto che nella botte vecchia ci sia il vino migliore ma spesso un passabile aceto, così avviene anche per coloro che fraintendono le lezioni dei grandi maestri e si schierano a spada tratta contro tutte le novità. Io non mi schiero più, in materia, preferisco registrare gli eventi e lasciare che ciascuno si comporti come preferisce, secondo coscienza.
Il rituale bacchico ha sempre previsto abluzioni con il vino, ma riguardanti per lo più l’interno del corpo, non l’esterno. Non per lavarsi. “E infatti non ci laviamo nel vino”, protestano gli interessati. “Noi –aggiungono- nel vino nuotiamo”. Insomma quattro bracciate nel cabernet o nel merlot sono tonificanti. Infatti riempita la piscina di ottimi vini italiani, secondo i gusti, si tuffano, quei signori, nuotano, si svagano e così crescono in salute e in bellezza.
“Fa bene alla salute e alla pelle”, sostengono infatti con forza gli enonauti. E se uno beve -in piscina capita- beh, non ci sono problemi, tutto dipende dalla quantità. “Aiuto, ho bevuto”.
“Sputa, sputa subito”. “Fossi matto, mai sentito un Sangiovese così”. Fuori dalle facezie di questa prelibata notizia, diciamo che è tutto vero. La moda di fare il bagno nel vino dilaga già da qualche tempo. Prima è nata come mania di vip hollywoodiani, poi lo snobismo ha lasciato spazio al recupero di antiche pratiche di oscuri speziali, più caserecce ma anche più motivate. E’ per questo che il disappunto iniziale e lo stupore per le americanate – come dicevo all’inizio, hanno lasciato spazio a considerazioni ben più ponderate e a ricerche ben più attente ai fondamenti scientifico-cultural-beauty della prassi antica di sfruttare vinacce, vinaccioli e vino anche per pratiche corporee che non riguardino in maniera specifica la bocca (veicolo per il nutrimento del corpo, ma anche veicolo del nutrimento dello spirito con la parola che ci mette in relazione tra noi) ma anche il resto del corpo, Tutta la carne. Ma andiamo con ordine. Tempo fa, ricordo bene, l’agenzia Adnkronos, aveva diffuso un serizio da Los Angeles che si riferiva all’ultima follia dei vip di Hollywood precisando che “l’enonuotata” importata dalla Francia era diventata una tendenza che li contraddistingueva, incrementando così il consumo del vino e valorizzandone proprietà ben note fin dall’antichità.
A dare il via alla moda transatlantica ci sarebbero alcune delle star internazionali come ha confermato anche l’autorevole sito http://www.esperya.com/, boutique on line dei prodotti italiani che serve alcune tra le più grandi star internazionali. Così si è venuti a sapere che Johnny Depp che tra l’altro ha voluto per sé il castello appartenuto al re dell’horror Bela Lugosi sul Sunset Boulevard di Los Angeles, s’è fatto costruire nella sua (anche questa) villa a Saint-Maxime, nel golfo di Saint Tropez una piscina di 36 metri di diametro color vinaccia nella quale nuotare dopo averla riempita di vino. Il pirata più famoso di Hollywood è un estimatore del Chianti, che beve volentieri e che ha acquistato, assieme ad altri vini italiani, per un importo che si aggira intorno ai 180mila dollari. Questa passione per il vino e per le enonuotate ha toccato anche Bono Vox, il cantante degli U2 che nella sua villa di Eze (1500 metri quadrati, costo 4 milioni e mezzo di euro) ha realizzato una piscina da 840 litri che riempie con una miscela di Barbaresco, Barolo, Dolcetto d’Alba e acqua minerale. In tutto qualcosa come 500mila dollari di spesa. Ma anche Elton John si è dedicato a riempie la piscina sulle alture di Nizza con vini rosati e Madonna, di origini abruzzesi predilige il Montepulciano delle sue terre. Secondo i bene informati e le riviste di gossip Angelina Jolie si tuffa nella Barbera piemontese poi fa un passaggio in acqua minerale calda arrichita da estratti di vino e mosto. Julia Roberts e Jennifer Lopez preferiscono di vini toscani per mantenere la pelle giovane e idratata. Insomma per essere in forma perfetta non si può fare a meno di impacchi di Morellino, massaggi al Chianti, nuotate nel Prosecco o nell’Aglianico. Con la speranza che ne rimanga a sufficienza anche per coloro che il vino lo usano alla vecchia, tradizionale, saggia maniera, cioè bevendolo.
Ma diciamo anche che la moda, che ha fondamento scientifico legato alle proprietà stesse del vino ricco di sostanze naturali importanti in funzione della bellezza del corpo, ha preso piede anche in Italia.
Ecco qualche esempio, in Emilia Romagna, in Sudtirolo e in Toscana, dove all’accesso all’enobeauty è aperto a tutti.

Per una curiosa e magica alchimia proprio nel regno delle acque, alle Terme della Salvarola (http://www.termesalvarola.it/) sulle colline di Modena, il vino diventa un alleato preziosissimo dei trattamenti estetici termali: la pelle riceve una serie di stimoli benefici, e dopo il bagno “enoico”, l’odore della pelle sarà un leggero e piacevole profumo di fiori. L’uva è quella di Lambrusco Grasparossa, generosa e piena di vita, ricchissima di sostanze antiossidanti, la cui funzione è quella di prevenire l’invecchiamento cutaneo. Sono diverse le formule tra cui scegliere per regalarsi momenti di piacevole relax e di bellezza, cogliendo a piene mani dalla ricca cornucopia del dio Bacco.

Al Romantik Hotel Oberwirt di Merlengo, (www.romantikhotels.com/Marling) sopra Merano (BZ) si consuma il piacere di ritrovare preziosi trattamenti naturali. Quattro i pilastri su cui poggia il significato di bellezza per l’hotel: rose, mele, fieno e vino - gli orgogli dell’Alto Adige. Ideale per l’autunno un “sorso” di splendore per la pelle con la vinoterapia, il cui segreto sta nei polifenoli contenuti nei preziosi chicchi. La loro azione attivante sulla microcircolazione sanguigna favorisce l’ossigenazione dei tessuti conservandone l’elasticità.

Nel piccolo borgo medioevale di San Sano a Gaiole in Chianti si vivono atmosfere d’altri tempi e arredi d’epoca rievocano la storia e la vita del Relais Castellare dei Noveschi (www.castellaredenoveschi.com), un’antica torre di avvistamento del 1200 che fu dimora di alcuni granduchi di Toscana. Trasformata alcuni anni fa in un relais di charme con solo 4 suites e ampliata nel luglio scorso con una nuova ala e altre4 suites (8 in tutto) è arricchita da una piccola zona benessere denominata Le Cantine di Bacco dove vengono proposti trattamenti per il corpo a base di polifenoli e resveratrolo. Immersi nella calda acqua di un tino, ricreato secondo le metodologie applicate nella prima spa per vinoterapia di Bordeaux, è possibie abbandonarsi a bagni al vino detossinanti e purificanti. Ossigenazione cellulare e miglioramento del microcircolo sono i primi effetti benefici di questo trattamento vino-balneo-terapico. Estratto d’uva abbinato a una miscela di acido tartarico derivato dall’uva e all’acido citrico genera un’azione altamente levigante.
Che dire, alla fine, se non il classico e appropriatissimo“Salute”!