ASSOCIAZIONE CULTURALE “ANTONIO ROSMINI”
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Venerdì - 20 novembre 2009 - ore 17.00

Fausto Pajar
SANTI MONTANARI
Edizioni Biblioteca dell’Immagine – Pordenone



Converseranno con l’Autore:
Nadia Scappini
Emanuela Merlo

Tratto da TasteVin Agosto/Settembre 2009



1974, ANNO MAGNIFICO E TERRIBILE

di Fausto Pajar

Trentacinque anni dopo celebriamo un sogno realizzato, un sogno realizzato, ma non esaurito: per questo si va avanti con decisione. Ci volgiamo indietro per riconoscere nella memoria e nei fatti il cammino compiuto. Non da soli. Indietro, come in uno specchio magico che riflette il presente, si vedono ancora distintamente i volti di tanti cari colleghi, di appassionati, di vignaioli, di mercanti, di degustatori, insomma tutta un’umanità variegata che ci resta nel cuore, che ancora ci alita un soffio di vita dal mondo nel quale si sono rifugiati per continuare a guidarci. Le presenze antiche non affascinano solo coloro che credono nella continuità del rapporto che consente colloqui tra le anime perdute nel cielo e quelle perdute sulla terra. Un cammino comune nel presente dello spirito, io credo. Di sicuro, un cammino è stato comune, in passato, a Bepo Maffioli e ad Annibale Toffolo. Il primo già maturo cultore di culture venete che spaziava dalla gastronomia al teatro e primo direttore. Il secondo, direttore attuale di questa rivista, giovane rampante pieno di voglia di fare, aperto al mondo con la volontà di portare ad esso il suo contributo di entusiasmo e di idee innovative.

Queste pagine mille volte sfogliate, quelle idee rimbalzate da tavolo all’altro, da un telefono (raro, in quei tempi) all’altro. Quante voci si accalcano alle orecchie che ormai non le odono più e seppur non le odono tuttavia le sentono perché sentire è dell’anima non del padiglione auricolare e dei connessi. Udivamo, allora le voci di Maffioli e di Vicentini e di tanti dell’Accademia della Cucina, di trattori, ristoratori e osti, che oggi non ci sono più qui ora, ma che ci sono nel nostro modo di essere, che volteggiano nell’aria attorno a noi come fedeli custodi di un messaggio che speriamo di aver recepito. Di certo qualcosa abbiamo capito, perché qualcosa è cambiato. Ma noi siamo certi che anche chi se n’è andato non ci ha abbandonati. A volte pare di sentire –capita anche a voi? – nel gorgoglio di un bollire di botte immostata dalle fragranze della recente vendemmia spremuta, capita, dicevo, di sentire la voce chiarissima e vicinissima di chi ha amato la terra, questa nostra terra, di contadini autentici, perennemente inchiavardati alle doghe curve della botte che lascia respirare il vino come un polmone. E dentro c’è questo suono di voci e le voci sono memorie e le memorie sono nuove uve e nuovo vino e spirito e anima e tutto. E poi, guardando fuori, alle vigne sterminate che invadono i colli magici trevigiani nel magico raggio verde che chiude il tramonto e nessuno, che non sia puro di cuore, può vedere, si scorgono figure chine sulla zolla, schiene spezzate e ripiegate quasi dentro la terra come a carpirne i segreti e nasconderli all’infido crescere di malanni fogliari, di dolori ai tralci, di bolle e macchie, di rughe non dovute e non volute. Così sulla vigna come sul corpo. Screpolato il tronco della vite che si squama a poco a poco sotto il peso del tempo, screpolati il volto e le mani dei padri nostri con rughe sì fonde da potervi coltivare filari ricurvi di cartizze come sulle colline di Valdobbiadene o di Conegliano.

Mi ricordo quella volta, quanti anni fa?, che un vigniaiuolo (ero con il saggio collega e gastronomo Carlo Mocci, a Guia) si presentava dicendo “guardate queste mani” e noi guardavamo in silenzio, religiosamente, quanto aratro e quanto verderame stavano racchiusi li dentro, mentre, attorno i grilli tenevano un concerto per noi come una sublime sinfonia di pizzicato di violini stradivari in puro abete armonico di Fiemme. Guardavamo in silenzio (erano tanti anni fa, 35), guardavamo ed eravamo stupiti di non vedere, in quelle mani, i segni dei chiodi della crocefissione. Ma poi si capiva, quando stappava una bottiglia di Prosecco. Quel vino cantava le lodi del Signore. E il signore risorto era lui e nel suo vino limpido si specchiava tutta l’anima della sua fatica. Anche i segni dalle mani scomparivano e il volto si rasserenava come se il risultato del suo lavoro gli rendesse la gioia infinita e destinata solo ai santi, la gioia dicevo, di un corpo glorioso, rinato, anzi risorto.

Quel contadino ha avuto in dono il mondo. Lo ha avuto fisicamente, materialmente, nelle mani. Lo ha palpato come quando andava a morose per scoprire il mondo della carne. Ma non c’era differenza. Anche lì c’era da arare e vangare, perché dovunque la vera vita nasce dal sudore e solo dopo dà piacere infinito e produce frutti. Frutti a grappoli, dorati e rubizzi come cascate di Prosecco o di Refosco, di incrocio Manzoni o di Pinot.

In fin dei conti cosa sono 35 anni. Tanto? Poco? Non si pesano con la stadera le scelte della vita. Non c’è mai stato nulla da vendere o da comprare nelle pagine di una rivista che sfogliata periodicamente portava e porta il peso della terra pensata, della fatica, dei luoghi del vivere nostro e del nostro tempo.

Scriveva Toffolo ricordando Maffioli e spiegando a larghe intense pennellate come nasceva questa rivista: “Era una rigogliosa giornata d’autunno, quando Lo incontrai nella sua casa di mattoni e pietre, che ricorda la barchessa di un contadino con un vigneto tutt’intorno, all’ombra dei più vecchi parchi del Terraglio…”. Comincia così l’avventura di questa rivista.

Dentro c’è tutta la storia di questi 35 anni. Forse non ricordiamo più, ma è bene farne memoria. Era il 1974. Ma era anche il 2727 ab Urbe condita, il 1422 per il calendario armeno, il 7482 per il calendario bizantino, il 4670 (cinese), 1393 (islamico). Tanti modi per dire che quella fu un annata buona. Ma non un buon anno, tranne per il fatto che ha visto la nascita di questa rivista (allora “Vin Veneto).

Che cosa accadeva, allora?

Carlos Arios Navarro diventava capo del governo spagnolo, il quarto governo Rumor andava in crisi, la Spagna usava per l’ultima volta la garrota, Iva Zanicchi vinceva il Festival di Sanremo, nasceva il quinto governo Rumor, le Br rapivano il magistrato Mario Sossi, in Portogallo la rivoluzione dei garofani poneva fine alla dittatura iniziata da Salazar e gestita da Marcelo Caetano, la Lazio vinceva il primo scudetto, gli italiani dicevano no all’abrogazione della legge sul divorzio, in piazza della Loggia a Brescia una bomba rivendicata da Ordine Nuovo provocava 8 morti e molte decine di feriti, Gianni Agnelli veniva eletto presidente di Confindustria, veniva costituita la Consob, a Padova un commando br uccideva due attivisti del Movimento sociale italiano, a Milano Indro Montanelli fondava Il giornale nuovo, Rizzoli comprava le quote del Corriere della Sera da Crespi, Moratti e Agnelli, la Turchia occupava il Nord di Cipro, ad Atene cadeva la dittatura dei colonnelli al potere dal 1967, a San Benedetto val di Sembro avveniva la strage sul treno Italicus, in Usa Nixon era costretto a dimettersi dopo lo scandalo del Watergate, a Pinerolo venivano arrestati i capi br Renato Curcio e Alberto Franceschini, a Milano iniziavano via cavo le trasmissioni di Telemilano di Silvio Berlusconi, a Torino 65mila operai venivano messi in cassa integrazione, la magistratura di Milano spiccava ordine di cattura contro il banchiere Michele Sindona e quella di Padova un mandato di cattura per il generale Vito Miceli ex capo del Sid (servizi segreti), in Etiopia venivano scoperti i resti fossili di “Lucy”, progenitrice dell’uomo e Malta diventava repubblica. Ma l’elenco non è esauriente, cioè non finirebbe qui, anche se qui lo faccio finire io.

Ricordate?

Resta da dire, brevemente, solo per memoria, com’era Treviso in quello scorcio dell’anno cbe andava concludendosi. Cosa accadeva? Il cronista lamentava in un fondo sull’apertura di pagina dell’edizione di Treviso del Gazzettino, che la regione si fosse dimenticata dell’idrovia del Sile . E annunciava anche che aumentavano le tariffe del trasporto urbano che però (per addolcire la pilolla amara) era previsto, in compenso, l’arrivo di 40 nuovi autobus Fiat 418 Ac carrozzati dalle Officine Pistoiesi (gruppo Breda), mentre a Oderzo venivano denunciate quattro donne per un furto di cavoli. Era la clamorosa notizia di “nera” del giorno. Infatti il cronista titolava a due colonne: “Trecento cavoli rubati nell’orto delle Opere Pie”. Contemporaneamente sotto la Loggia si svolgeva la Mostra del radicchio. I produttori premiati quell’anno erano Giorgio Favaro e Silvano Vettor di Zero Branco, Ferdinando Sartorato di Dosson, Salvatore Menegatti di Preganziol e Sante Milan per il tardivo. Antonio ed Ermenegildo Zugno di Scorzè e Giovanni Franchin di Zero per il precoce; Augusto Mazzocca di Castelfranco, Vittorio Ballan di Treviso e Antonio Zugno di Scorzè per il variegato. Alla premiazione c’erano il prefetto De Cunzo, il consigliere regionale Nervo, l’assessore provinciale Gazzola, il questore Fortunato, il presidente degli allevatori Bellotto, il direttore del consorzio agrario Zago, il veterinario provinciale Lucernoni, il direttore della Coldiretti Scardellato, il presidente della Camera di commercio Curci, il capo dell’Ispettorato agrario Scudeller. Il preciso e puntuale resoconto del cronista di allora metteva in risalto: “Il Consorzio attua una politica di intervento sul mercato per garantire ai produttori un prezzo equo e remunerativo. L’integrazione dei prezzi per dicembre-gennaio è prevista intorno alle 500 lire al chilogrammo”.

In dicembre, alla Fiera di Santa Lucia di Piave partecipano 450 espositori in rappresenta di 550 ditte diverse italiane, tedesche, inglesi e francesi. La Fiera viene inaugurata dal presidente del consiglio regionale prof. Giancarlo Gambero con il sindaco di Santa Lucia, Ermanno Speranza, presente anche il consigliere regionale Ulliana. Nello stesso periodo sono 170 gli artisti che partecipano al concorso “Tavolozza trevigiana”, giunto alla sua terza edizione per proporre opere ad olio formato 18x24 a tema libero ospitate ed esposte alla galleria d’arte Giraldo, dopo il giudizio espresso dalla giuria formata dai professori Armando Tonello, Girolamo De Stafani e Mario Massarin. La televisione offriva poco rispetto ad oggi. Erano accessibili il Primo canale, il Secondo e Capodistria. La programmazione aveva inizio alle 12,30 con la rubrica “Sapere” e chiudeva alle 22,45 con Tg e Che tempo fa, cioè il meteo. Il Secondo canale apriva le trasmissioni alle 18 con un programma divulgativo di educazione permanente e chiudeva con il programma delle 22, in questo caso (lunedì 16 dicembre 1974) con un concerto de “I solisti veneti”. Capodistria apriva alle 19,55 con L’angolino dei ragazzi e iniziava l’ultimo programma alle 22,30 con la seconda parte dello spettacolo folk “I Cosacchi del Don”. Maggiore offerta veniva dal cinema. All’Astra davano “La leggenda dell’arciere di fuoco”. Al Corso, “Robin Hood” (cartone animato). All’Edera, “La vera storia del dottor Jekill, vietato ai minori dei 14 anni, ultimo spettacolo alle 22,15. All’Edison, “Travolti da un insolito destino nell’ azzurro mare di agosto; allEmbassy, “Finché c’è guerra c’è speranza”; al Garibaldi, “Porgi laltra guancia con Terence Hill e Bud Spencer, all’Hesperia, “C’eravamo tanto amati” e all’Arcobaleno “La meravigliosa storia di Carlotta e del porcellino Wilbur”. La notte del 31 dicembre veglionissimo al “New Time” di Treviso con Renzo, premi e cotillons a un prezzo di tremila lire.

In quello stesso periodo invernale entrava nel vivo il Concorso gastronomico promosso dalla Pro Loco di Villorba. La quarta serata l’appuntamento è “da Nerino” a Fontane-Chiesa vecchia. Menù della serata: pappardelle con lepre, “polenta e osei”, funghi di bosco, formaggio con polenta “brustolada”. “Il primo piatto scrive il cronista – è reso più appetibile da un frizzante Cartizze, che sostituisce più che egregiamente l’aperitivo. Tre sommelier in pompa magna non hanno fatto piangere i bicchieri. Con il primo si degusta un robusto Refosco, mentre con la “polenta e osei” si passa al Merlot…Infine, il formaggio con il clinto, un vino che, qusi incontrastato dominatore delle cantine qualche decennio fa, ha conosciuto un rapido calo per tornare a fare capolino in questi ultimi tempi senza demeritare, accanto ai più noti e celebri fratelli come i bianchi di Valdobbiadene. E’ ovvio _osservava ancora il cronista- che ad ogni piatto bisogna accostare il vino che ne valorizzi il sapore e lo renda unico. Perché, a prescindere dai gusti, un piatto quando è fatto bene è sempre un buon piatto; la sapienza e l’arte 8non abbiamo detto abilità, perché è qualche cosa di più) consistono nel saper armonizzare tutti i particolari. Una trattoria alla casalinga presenta, come ha fatto Nerino, il suo pan de casata; rifiuta il dolce per non deviare da una linea impostata sulla polenta, altro alimento che un tempo era unico e che ora sta diventando una leccornia. Ovvio che il bicchiere della staffa, dopo tanta specialità veramente veneta, non poteva essere che la grappa. Una serata gustosa che ha toccato il punto focale del concorso, presentare e valorizzare piatti ormai adusati, conosciutissimi, che abbiamo mangiato in altri tempi, con più frequenza (e forse con maggior “fame”) e che la tradizione veneta non deve lasciar cadere. Per questo un concorso, e speriamo che anche altre Pro loco abbiano già preso esempio da Villorba, deve presentare la cucina veneta”. Per la cronaca, il vincitore della rassegna sarà proprio Nerino.

E’ bello ricordare quegli anni della giovinezza, gli slanci, i timori, la gioia. Una vita è passata, tante vite sono tramontate, ma nella galleria dei ricordi restano tutti i volti. Questo mio è il tentativo di far ricordare cose e persone, e di ricordare anche che la rivista ha sempre mantenuto una dirittura invidiabile e un’equidistanza tra eventi e passione e su questa linea procede anche oggi, perché, per dirla con Orwell: “In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”.