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incontro con l'autore


presso Biblioteca Arturo Frinzi
via San Francesco, 20 Verona;
tel. 045 802 8600

Mercoledì 9 Dicembre ore 17,30 l'autore Fausto Pajar presenterà il suo "Santi Montanari"


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Da sempre custodi delle Dolomiti




Tratto da "Corriere della sera" di martedì 29 Settembre 2009
di Fausto Pajar

A causa dei troppi interventi esterni, le Dolomiti dell'Unesco mondiale rischiano di dividere l'umanità locale che ne ha sempre tutelato il destino e le ha sempre promosse. Un destino, proprio un destino. Le cime dei monti hanno sempre separato. Lo spartiacque di frontiera cammina sulle vette più vicine al cielo e grondano sangue di guerra, riempiendo fiumi come il Piave o l'Isonzo. Storie vecchie che sbucano nelle pieghe di una memoria non sconosciuta, ma spesso ignorata.
Il Piccolo Lagazuoi non era mica come lo vediamo oggi: è stato fatto a pezzi dalle mine scavate in gallerie, dove, uno sopra l'altro, fantaccini austro-ungarici o italiani, diventati minatori del nulla per ordine superiore, picconavano rocce milionarie d'anni e piene di fossili testimoni di un mondo che c'era quando noi eravamo ancora nel pensiero di Dio. Fosse stato per la gente che ci abitava, il Piccolo Lagazuoi lo vedremmo ancora com'era, salvo qualche variante dovuta alle trasformazioni naturali imposte dall'azione inesorabile del tempo. La Marmolada ha scuscitato, per mezzo secolo, tonnellate di carte bollate in liti, solo per garantire trenta denari o poco più di impianti di risalita in cambio di stravolgimenti ambientali spacciati per progresso e ricchezza.
Progresso di chi? Ricchezza di chi?
Le montagne tutte, le Alpi tutte - e le Dolomiti in particolare - sono ricche per conto loro. I montanari (noi montanari), di qui e dovunque, ci sono sempre statii e ci saranno ancora, anche se si è fatto di tutto per costringerli a mollare a costringerli all'abbandono. Ma quando poi ci si è accorti che le bistecche non sapevano più di carne e il formaggio non sapeva più di latte e l'acqua non sapeva più di fresco e di pulito, l'altro mondo che guardava avanti con orgogliosa sicurezza verso il sol dell'avvenire e alle palanche e alla grana, ha guardato in su ed ha visto gente curva sulla poca terra dei monti, con le schiene spezzate dalla fatica. Ha guardato ed ha visto gente che tentava di rubare all'asfalto e al cemento che progredivano sui declivi fioriti di arnica salutare e di genziana benefattrice, che progredivano dicevo, tra le file dei faglioli come la gramigna, la maledattea gramigna che non si estirpa mai. Volevano bensì il progresso e la modernità, ma come la volevano loro non come la imponevano gli altri votati a una omologazione devastante e contraria ad ogni principio identitario. Le montagne sono un confine, devono essere un confine (almeno per arginare costoro), devono essere un limite fisico e logico alla corsa pazza di vite in fuga perenne da se stesse.Sull'asfalto non crescono fagioli. I fagioli per crescere hanno bisogno di terra, tempo e tenacia, soprattutto quella del contadino. E in montagna la terra è in salita, in tutti i sensi; e la salita è faticosa, chiede ritmi lenti, calibrati, dosati, pensati.
Ci sono tante cose che possono venire in mente in questo momento. La montagna è sempre il luogo più vicino al cielo. I boschi suonano e cantano. Sono flauti leggeri, ma anche cupe tonalità di tromboni e di percussioni violente e sconcertanti. Tra le Dolomiti, ad esempio, c'è un bosco, unico al mondo, dove un abete su quattromila può diventare una tavola armonica, cioè un legno che suona, che ha fatto impazzire e fa impazzire chi ascoltava e ascolta ancora oggi i violini di Stradivari, o i lunghi pianoforti a coda spaparanzati sulla scena fantasmagorica della Scala a Milano.
Oggi tuti attorno alle Dolomiti. Ottima cosa. Per fortuna sono di pietra. Una pietra molto friabile, ma non commestibile, almeno così spero. Anche se si potrebbe intuire di vedere già un banchetto predisposto a "far fuori" i Ladins che sono stati e sono ancora oggi nelle valli di Fascia, Ampezo, Badia, Gardeina e Fodom gli unici titolati a decidere sulle Dolomiti della Ladinia, come i Furlani di quelle della Piccola Patria. Mi resta solo un quesito. Posso pensare quali saranno i discorsi variegati degli uomini, ma mi chiedo che cosa si diranno ora le Dolomiti guardandosi nel tramonto dell'enrosadira che infiamma Catinaccio, Sciliar, Odle, Pale e tutte le Dolomiti dal Brenta al Friuli.
Spero solo di vedere, tra qualche mese, o prima, un solitario alpinista salire la cina del Campanile di Val Montanaia con una campana e che la suoi a festa per sottolineare che le Dolomiti sono sempre state e continueranno ad essere dell'Umanità tutta, perché saranno stati i montanari a decidere come continuare a mantenere aperta al mondo la loro casa, cioè le montagne più belle del pianeta.