È morto Solzhenitsyn, lo scrittore che svelò l'inferno dei gulag sovietici

Tratto da "Il Gazzettino"
di Fausto Pajar, 4 Agosto 2008

Lo scrittore sovietico e dissidente, premio Nobel per la letteratura, Alexandr Solzhenitsyn è morto ieri all'età di 89 anni nella sua casa di Mosca per un infarto. L'autore di "Arcipelago Gulag" e di "Una giornata di Ivan Denisovic", vinse il Nobel nel 1970. Il presidente russo Dmitri Medvedev ha espresso le sue condoglianze alla famiglia.
«Mi inchino su questa terra, in cui centinaia di migliaia, forse milioni di compatrioti sono stati sepolti dopo le esecuzioni».
La lacerante e dolorosa - ma veritiera - affermazione dell' autore di «Arcipelago Gulag», è l'omaggio di Alexandr Solzhenitsyn , premio nobel per la letteratura, da cittadino russo ai russi fagocitati nel grande nulla della Siberia nel progetto devastante della dittatura staliniana. Ed è sempre lui a ricordare che forse anche nel nuovo corso della Russia rinascente qualche smemoratezza forse esiste nella cultura e nella politica dei signori che anelano alla democrazia.
«In queste ore - afferma appena messo piede sul suolo della patria, dopo 20 anni di esilio - in cui nuove passioni sono sollevate dai cambiamenti politici, quei milioni di vittime sono state dimenticate alla leggera».
Sono parole di fuoco che vengono da una sofferenza antica e vissuta, dalle memorie non trascurabili di devastazioni dei corpi e degli animi nelle sperdute lande in cui la lotta con il gelo della natura non era da meno di quella necessaria alla sopravvivenza tra larve di uomini cacciati dalla memoria e dalla storia.
Solzenitsyn resta la pietra miliare della storia di un popolo. Resta sicuramente come la fiaccola che ha tentato di scongelare i territori dell'anima russa che vive con grande passione e grande dolore tutte le sue vicende esaltanti o dolorose.
Al suo arrivo gli venne offerto pane e sale. La dolcezza della vita russa e l'asprezza della stessa vita. Ma senza sale non c'è buon pane. Senza verità non c'è giustizia.
Giustamente ha scritto in quel periodo il nostro Carlo Sgorlon del senso del ritorno di quell'esule.
«Egli non è - aveva detto Sgorlon, su queste pagine - soltanto uno scrittore, ma uno scrittore-profeta, che vorrebbe impersonare una coscienza morale, religiosa e politica che oggi pare perduta. È uno scrittore-vate, ossia una figura che da noi non esiste più da decenni, e forse non è mai esistita dopo Dante».
È vero, per capire un così grande scrittore poi finito nell'oblio, perché troppo grande è stata l'accusa contro la tirannide devastante del socialismo reale, bisognerebbe ricordare «i pellegrini di Dio», i «vecchi credenti», tutte cose che Sgorlon ha puntualmente evidenziato rimarcando anche la sua caratteristica di erede della «santa madre Russia» e della spiritualità profonda e pervasiva dell'esistenza, che solo chi si è abbeverato a Dostoevsky e a Tolstoj, reca nella bisaccia del cuore come un pane che conforta nelle tristezze e nei dolori devastanti della vita.
Forse non è uno scrittore di livelli assoluti, per certe sue prolissità e ripetitività che gli sono state rinfacciate dai critici e dagli esperti, tuttavia la sua qualità distintiva è quella della testimonianza: è lui che smaschera la tirannide sanguinaria del sistema staliniano, che racconta gli obbrobri e gli orrori che rendono fratelli nelle stragi Stalin e Hitler, che coniugano un'epoca storica di furore disumano e antiumanistico.
La morte come metodologia del potere, la forca o l'emarginazione brutale come prassi del modello ideologico.
Il lager e il gulag come luogo di sterminio di nemici presunti. Nemici solo perché diversi.
Solo oggi, anche grazie a Solzhenitsyn , si è capito che l'indifferenza cresce mano a mano che scompare la differenza.
Il profeta delle vittime oscure e dimenticate dello stalinismo ha cessato di combattere qui con noi, in questo tempo. Di sicuro combatterà ancora attraverso i suoi scritti rimasti tra noi.
Nel 1970 gli era stato assegnato il Nobel per la letteratura. Nel 1974 era stato privato della cittadinanza sovietica ed espulso. Aveva vissuto esule in Germania, Svizzera e negli stati Uniti. Al suo ritorno in patria nel 1994, dopo la dissoluzione dell'Urss, Alexandr non trova più la sua terra, neppure quella che lo statunitense Henry Kissinger sostiene minaccerà sempre l'Occidente. Infatti trova che la Russia, nel volgere di una giornata si è trovata priva di 8 regioni prettamente russe, di 25 milioni di cittadini d'etnia russa, che «d'un tratto - come ha scritto Cristina Bongiorno - sono finiti nella condizione di stranieri indesiderati».
L'erede celebrato di Tolstoj e Dostoevsy chiude la sua esistenza alle soglie dei 90, come un patriarca russo autentico. Forse ci si potrà dimenticare di lui. Ma sicuramente non ci si potrà dimenticare del suo «Arcipelago Gulag». Un libro che ha aperto gli occhi a milioni di persone.

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