Popolo di santi e alcuni sono montanari doc





Tratto da Alto Adige, Trentino, Corriere delle Alpi del 15 Agosto 2008
di Toni Sirena

Con i santi di montagna la fede ci guadagna, si potrebbe dire parafrasando un noto slogan pubblicitario. Fausto Pajar, giornalista di terre miste (famiglia trentina, nato a Longarone, vita in Friuli, casa a Treviso), mette in fila i santi montanari («Santi montanari», Biblioteca dell’Immagine, Pordenone, pagine 130, euro 12). In realtà, tra i molti ne ha scelti 26, quelli che gli sono parsi più significativi o interessanti o curiosi, visto che il catalogo ufficiale dei santi ne conta 9900 (si arriva a ventimila, però, secondo un’enciclopedia specialistica). Lo dice lo stesso autore: tutti i santi montanari sono qui raccontati? «Ovviamente no, perché i santi sono in numero incommensurabile». Insomma, la pattuglia dei 26 è solo una piccolissima parte dei santi montanari. Però, che pattuglia. Montanari perché? Perchè o sono nati in montagna o in montagna ci sono arrivati, magari per essere martirizzati, o perché in montagna sono venerati. Succede così che nei «magnifici 26» ci sta tutto un Ojüp Freinademetz, nato a Oies in alta val Badia e finito in Cina. O i santi nonesi Sisinio, Martirio (un nome, un programma) e Alessandro che erano di Cappadocia e finirono ammazzati in Anaunia. O San Martino, che veniva dalla Pannonia. O sarà invece che la venerazione per siffatti e sitanti discende dal fatto che sono patroni di boscaioli, guardie forestali, falegnami, pellegrini, cacciatori, oppure eremiti in valli profonde, sterminatori di basilisk che popolavano le fantasie valligiane, addomesticatori di orsi e altre fiere dei boschi, spegnitori di incendi? Miracoli, comunque. Perché non basta, per la patente di santo, elevarsi a perenne esempio di virtù eroiche (dove l’eroismo è un’indomita professione di fede), ma occorre (occorrerebbe) un miracolo certificato. Sicchè qualcuno di questi santi montanari risulta camminare sulle acque come Gesù, o provvedere di prole spose sterili (e qui il santo in questione, Romedio, si confonde con un altro, Mamante, e con le molte madonne lattifere), o cavalcare l’orso, o lanciare in aria falcetti che restano appesi a un raggio di sole. Questo per i santi non martiri. I martiri santi, invece, preferirono la morte all’abiura. Così per non rinnegare Cristo come fece Pietro tre volte (che comunque santo diventò lo stesso), ecco gli egiziani di san Maurizio, dirottati dal deserto alle Alpi per piegare tribù barbare, finire sterminati dall’imperatore Massimiano Erculeo, con più muscoli che cervello come dice il nome e come dice Pajar: erano, per la esatta contabilità, 6666 i militi della Legione Tebea scaraventati nel Vallese che rifiutarono di inchinarsi agli idoli. In tutta questa ecatombe uno solo dei morti, però, fece carriera da santo, cioè il loro comandante, Maurizio, che diventò poi protettore degli Alpini ma anche, non a caso, dei generali.

Il libro racconta i santi in ordine alfabetico, sicché non poteva che aprirsi con Sant’Antonio. Quello del porzèl, però, l’Antonio Abate, protettore degli animali (domestici), anacoreta egizio le cui gesta si confondono un po’ con quelle di Prometeo. Scese infatti coraggiosamente all’inferno per portare su il fuoco e regalarlo agli uomini. Il maiale c’entra perché aiutò Sant’Antonio nell’impresa. «Montanaro» forse perché venerato dai pastori e dagli allevatori che, si sa, sono più numerosi in montagna. Benigno e Caro, invece, sono santi del monte Baldo, che scelsero per romitaggio una spelonca ma che però, secondo l’accusa mossa loro dal vescovo, se la intendevano con una certa Olivetta. Il loro miracolo fu di convincere il vescovo della falsità dell’accusa portandogli in regalo due rape seminate, testimone il diacono inviato dal vescovo, la notte prima, e cresciute grandi come meloni. E poi, tanto per far capire al vescovo la loro santità, appesero ad asciugare i loro sai su un raggio di sole. Bernardo d’Aosta, lui sì, fu santo montanaro a tutto tondo. Sgombrò il mons Jovis dal demonio prendendolo per la collottola e ci fondò un monastero per assistere i viandanti e i «pellegrini della montagna», e così diventò il patrono degli alpinisti (ma solo dal 1923, forse perché, prima, l’alpinismo non era stato inventato). Biagio viveva in una grotta nei boschi dell’Armenia e lì compì il primo miracolo: tolse con la sola benedizione una spina dalla gola di un bambino, e da allora è protettore della gola. Il secondo miracolo fu il camminare sulle acque quando volevano martirizzarlo per annegamento. Ma lui, che era buono, per non deludere i suoi carnefici, invece di scappare tornò a riva per potersi fare martire in un altro modo, decapitato. Se fuoco e acqua, soprattutto in tempi antichi, erano flagelli di montagna, non poteva non esserci un protettore contro incendi di tabià e alluvioni: è Floriano, sempre rappresentato mentre versa acqua dal cielo con una mastella. E’ devozione nordestina e transfrontaliera, tra Carnia Veneto Slovenia Carinzia e Trentino. Tanto più che secondo lo storico bellunese Giorgio Piloni (1607) Floriano venne martirizzato a Lorenzago di Cadore. Località contesa con Vicenza, dove riposano in realtà le reliquie. Erano contese consuete. Basterà citare un San Valentino patrono degli innamorati il cui corpo starebbe in tre diverse città e paesi tra cui Limana (Belluno). San Gallo, così italianizzato dall’irlandese Gallech, deve il suo ruolo, quello di patrono di galli e galline, solo al suo nome. Fu uno dei tanti santi che, presi da pio zelo, dedicarono la vita a dar fuoco a idoli e templi pagani tanto da suscitare l’ira degli abitanti e buscarle. San Giorgio è quello del drago, che poi sarebbe un basilisco dal fiato puzzolente. E’ sicuro che morì decapitato in Palestina, lui originario di Cappadocia. Però a Mezzocorona in Trentino si indica ancora la tana del basilisco, anche se il cavaliere che lo uccise salvando la fanciulla qui si chiama conte Firmian. Lucano invece trasfigura in uomo dei boschi, che si ritirò nelle foreste della val di Fiemme e fece vita solitaria sopravvivendo grazie al latte di una capretta che lui trasformava in formaggi: a ben vedere è proprio l’om salvarech che insegna agli uomini la lavorazione del latte. Da segnalare, però, che altri resoconti lo avvistano in val di San Lucano, comune di Taibon Agordino. Di Martino si è detto, resta da segnalare che è patrono di Belluno, che tagliò un lembo del mantello per riparare un povero dal freddo, che è protettore di cavalieri e viaggiatori, osti e albergatori: per un verso o per l’altro, Martino di Tours c’entra con il turismo di montagna. Anche dei martiri nonesi si è detto. Sisinio, Martirio e Alessandro fan parte degli iconoclasti. Spediti dal vescovo di Trento, Vigilio, a convertire i nonesi e ad abbattere i loro idoli. Terribili erano i nonesi all’epoca, a credere a Vigilio: «popolani idolatri», che «ululano carmi diabolici». Sisinio si intromette durante un sacrificio a Saturno, sicché viene percosso in testa dall’uno con la tromba, dall’altro con la scure. Martirio cerca scampo nell’orto di una vicina che però lo denuncia, sicchè viene trafitto con dei pali. Alessandro, pure lui, viene preso e trascinato fino a morte. Poi tutti e tre vengono gettati nel fuoco. Siamo nel 397, per la cronaca. A questo punto anche Vigilio, che aveva mandato i tre in Anaunia, decide di salire in quel «luogo concavo fra i monti e risuonante di echi» tanto da fare «sinistra impressione». Sarà che Vigilio era uno di città e i monti erano ancora un «hic sunt leones». Sicché va in Rendena, zona tra i monti assai orrida. E lì fa la fine dei santi nonesi. Prende un idolo, lo spezza e lo getta nel Sarca. Mal gliene incoglie: i rendereni inferociti lo lapidano, si dice con pagnotte stantie ma chissà se c’è da crederci. La storia della madonna di Pietralba, dove oggi sorge il santuario mariano, è singolare, perché il protagonista assomiglia molto a uno di quei pazzi in Dio tipici della religiosità russa che nella follia vede un segno del Signore. C’era una volta un giovane malato di mente, salvato dalla Madonna mentre errava per la montagna che gli era apparsa e gli aveva indicato dove scavare per trovare la sua immagine, una statuetta che ancor oggi si conserva nel santuario. Notberga di Eben, patrona delle domestiche, è invece una santa tirolese, la cui storia risale al 1200. Rubava ai ricchi per dare ai poveri. Nel senso che rubava gli avanzi dei lauti banchetti dei suoi padroni, che di solito gettavano ai porci. Con un po’ di miracoli riuscì a convincere i duri cuori dei padroni. Salvo una che, non dandole retta, morì all’improvviso, e la sua anima finì per contrappasso insieme ai maiali a nutrirsi degli avanzi che non aveva voluto regalare. Se Pietralba sorse per indicazione della Madonna, il posto del santuario di San Romedio in valle di Non fu indicato dal Signore. Perché dovete sapere che Romedio fu un santo edificante, nel senso delle anime, ma anche delle opere. Voleva costruire una chiesetta, ma ogni volta i corvi gli portavano via il legname andando a depositarlo su una rupe scoscesa. Fu lì, dunque, che Romedio finì per costruirla: visto lo spazio ristretto, il santuario oggi consta di cinque chiesette una sopra l’altra. Ma Romedio è noto anche per le sue frequentazioni con un orso, che cavalcava per la meraviglia dei fedeli dopo che questo gli aveva sbranato il cavallo. Patrono di Vallada Agordina è invece Simone Apostolo. Essendo stato segato in due in Mesopotamia, è diventato il patrono di chi taglia legname, o marmo, o pietra. E a Vallada, sul Biois, le segherie un tempo erano numerose. Ujöp Freinademetz della val Badia, santo dal 2003, è il vanto della chiesa ladina. Visse 29 anni in Cina, rischiò la morte durante la guerra dei Boxers che gli davano la caccia perché straniero. Al suo arrivo mostrava assai scarsa considerazione dei cinesi, ma poi dovette ricredersi. Alla fine ammise: «Sono ormai più cinese che tirolese». Morì (di tifo) che vestiva alla cinese e lo chiamavano Fu Shenfu. La morale di tutto questo? Santi in montagna lo si può diventare in tanti modi, e in montagna non occorre esserci nati. Certo servirà per forza un miracolo, ma forse non l’aver compiuto imprese clamorose. Tant’è vero che si sostiene che Papa Luciani di Canale d’Agordo, ormai sulla strada buona per diventare beato, esercitò le virtù eroiche interpretandole come esercizio quotidiano.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non ho mai avuto notizie dal vicino comune di Taibon Agordino di leggende riguardanti l'Om Salvarech.
Invece nel nostro comune questa leggenda c'è ed anche la festa dell'Om Salvarech, una volta veniva fatta il 25 aprile adesso per motivi turistici viene fatta ogni 5 anni, generalmente il agosto.
Allego informazioni riguardanti la nostra tradizione e foto.
http://tradizleggendediriva.blogspot.com/