K2, Confortola a pochi passi dalla salvezza

Tratto da "Il Gazzettino"
di Fausto Pajar, 5 Agosto 2008

Con i piedi semicongelati, accompagnato da due portatori e un alpinista americano, Marco Confortola è riuscito a raggiungere le tende di campo base 1. Consumata la tragedia sul K2 con un bilancio definitivo di 11 morti, l'alpinista italiano, molto faticosamente, sta cercando di portarsi in salvo. Ha parlato per pochi minuti al telefono con il fratello e lo ha rassicurato, ma ha anche chiesto ulteriori soccorsi. E mentre al Gilkey Memoriale, nei pressi del campo base, si incidono sui piatti di alluminio i nomi delle vittime, cresce la polemica sugli errori compiuti. Lo stesso Marco Confortola, per altro scalatore esperto e riconosciuto, dovrà fornire spiegazioni. Errori che, in base alle informazioni giunte finora, appaiono per molti versi inspiegabili. Le accuse più frequenti sono di imprudenza, inesperienza e scarsa preparazione.

Il gelo è il lupo assassino delle vette assolute. Non ha forma belluina, ma possiede denti di ghiaccio che trafiggono la carne come chiodi e la fanno morire lentamente, che tolgono il respiro e fanno cadere - nere come carboni spenti - le dita delle mani e quelle dei piedi. Toio De Savorgnani, trevigiano del Vittoriese di famiglia cimbra, ha vissuto e sofferto il congelamento sulle altissime vette di quelle montagne himalaiane. Ne porta i segni sulle mani.
Toio, come avviene?
Avviene perchè sei in condizione di stress e sei in alta quota, più si sale più diminuiisce l'ossigenazione dei tessuti e quindi il congelamento parte.
Anche se uno è ben attrezzato?
Non esiste questo discorso. Se sei costretto a restare fermo in alta quota, anche con una buona attrezzatura, può accadere che ti congeli. Certi incidenti, che a leggerli sembrano drammatici, poi in realtà sono incidenti non gravi, solo una caduta di qualche metro in un crepaccio. Però la caduta è devastante perchè la reattività del fisico è molto ridotta.
Da cosa?
Dalla difficoltà di respirazione e dalla prostazione. Uno si sente veramente e costantemente al limite delle proprie capacità. Mano a mano che si sale verso la cima il fisico si adatta, ma più sali più questo adattamento diventa faticoso.
Tu hai esperienza personale.
Sì, con la spedizione al Manaslu del 1979, che era guidata dal padovano Lorenzo Massarotto.
Cosa è successo allora?
A 7700 metri, una raffica di slavine ha coperto, di notte, la tenda nella quale mi trovavo con Elvio Terrin di Venezia e dalla quale siamo fuggiti velocemente per paura che una slavina più grossa disancorasse la tenda stessa travolgendoci e scagliandoci a valle per duemila metri.
Dove vi trovavate?
La tenda era su un ghiacciaio con settanta gradi di pendenza.
Cosa si prova nei momenti estremi?
Non provi qualcosa di particolare, hai l'istito di sopravvivenza che ti fa reagire in maniera automatica perchè hai la percerzione costante del pericolo e questo sveglia altri sensi umani che conoscono solo coloro che li hanno sperimentati. Come quelli che hanno vissuto la ritirata di Russia. Mio padre l'ha fatta e penso che abbia passato un'esperienza analoga alla mia.
Che fare in quei frangenti?
So che c'è come una spinta automatica. Non c'è sensazione di dolore. Forse interviene uno stato di trance che ti spinge ad andare avanti, verso una meta.
Cosa ricordi del Manaslu?
Dopo una settimana ci siamo trovati con altri 7 alpinisti proveninti dall'Himalaia all'ospedale di Innsbruck, in Austra, dove in quegli anni anni erano bravi a curare i congelamenti. Solo allora abbiamo saputo che, la nostra notte, sull'Himalaia c'erano 40 gradi sotto zero e il vento soffiava a 150 km.
C'è una cosiderazione da fare?
Sì. Piango i morti. Poi dico che, da una parte, chi va ad affrontare queste esperienze dovrebbe avere la consapevolezza dell'altissimo rischio che affronta; dall'altra parte, che bisogna essere preparati al massimo possibile e bisogna contare solo ed esclusivamente sulle proprie forze, fisiche a psichiche e poi, ma dopo, sull'attrezzatura.
In Himalaia vanno impreparati?
In Himalaia stanno avvenendo troppi incidenti perché ci vanno alpinisti non preparati ad affrontare quelle difficoltà estreme e che contano troppo sulle corde fisse lasciate dalle altre spedizioni. L'alpinismo himalaiano dovrebbe essere un' esperienza quasi mistica e non un evento consumistico. Non voglio polemizzare ma ogni scalatore sa che tutto quel casino che hanno fatto con l'elicottero "salvatore" non serve se non ai media. L'elicottero ti salva quando sei già in salvo. Bisogna ricordarsi che in montagna ti salvi sempre da solo.

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