Dolomiti, rischio Far West: un pericolo reale

Tratto da: "Corriere del Veneto" del 23 Marzo 2010





Intervista al docente dell'università di Padova che ha collaborato alla candidatura per il riconoscimento di "patrimonio dell'umanità" da parte dell'Unesco

Dolomiti, rischio Far West: un pericolo reale

Franco Viola: preoccupano certe dichiarazioni, ma ci sono gli anticorpi contro gli affaristi. Ladini, impegno prezioso.


A conclusione del dibattito sulle prospettive che si aprono alla terra dolomitica con il riconoscimento di Patrimonio Unesco interviene il professor Franco Viola, docente universitario al un corso di laurea in Scienze forestali del Dipartimento Territorio e Sistemi agro forestali all'università di Padova. Dopo un excursus cronologico, l'illustre decente, che al progetto Dolomiti Unesco ha lavorato per dieci mesi, suggerisce - sulla base delle proprie conoscenze scientifiche e umane - tempistica e metodologia per valorizzare al meglio le opportunità che ora si presentano alla terra Ladina.

-Egregio professore lei si occupato delle Dolomiti per ragioni professionali e scientifiche da molto tempo, viole spiegare perché?
"Mi sono occupato e mi occupo della montagna, e dunque anche delle Dolomiti, per passione e per mestiere. Le Dolomiti in particolare sono montagne speciali, non conoscono mezzi termini. Qui tutto è esaltato, nel bene e nel male. Bellezza, paura verticalità, fatica, lo stesso clima, colori e scene, tutto è più forte, di sicuro impatto. Ho avuto una duplice fortuna in questo senso: ho potuto per lavoro frequentare San Vito nella valle del Boite, dove l'Università in cui insegno gestisce un Laboratorio d'Ecologia. Fare ricerca in quel contesto dalla Croda Rossa d'Ampezzo al Duranno, dalle Tre Cime alla Marmolada, per restare "vicini" al Laboratorio, è un privilegio che pochi possono permettersi. La seconda fortuna è stata di poter insegnante in un Corso di laurea in Scienze forestali. In particolare ho sviluppato molta ricerca applicata, operativa. Le esperienze più belle sono state quelle inerenti lo sviluppo, in collaborazione con altri, di qualche Piano territoriale, come quelli di alcuni Parchi della regione dolomitica: Paneveggio-Pale di San Martino, Dolomiti d'Ampezzo, Dolomiti Bellunesi, Adamello-Brenta, e quelli di tante altre realtà protette, più piccole, ma non per questo meno importanti".

-Quale è stato il suo ruolo nel Progetto Dolomiti-Unesco?
"Mi è stato chiesto di partecipare alla redazione del documento di candidatura nella prima fase dell'impresa, quella avviata dalle cinque Province e dal ministero dei Beni culturali, nel 2005 e conclusa in prima battuta nel settembre dello stesso anno e, in seconda battuta a fine gennaio 2006. In quella circostanza ho diviso l'impegno e la fatica con altri tre coleghi professionisti e con una motitudine di amici e tecnici delle Province candidanti. Ricordo Pietro Gianolla, geologo dell'Università di Ferrara, Cesare Lasen, botanico ovunque conosciuto, anche per il suo impegno di presidente del Parco Dolomiti bellunesi, Michele Cassol, forestale e faunista di grande esperienza e di indubbio spessore scientifico. Non c'è spazo per elencare tutti gli amici delle Province che hanno contribuito all'impresa: non se ne abbiano a male, sono certo che capiranno. I primi tre andavano invece citati per un motivo tecnico oltre che professionale: l'accordo interprovinciale e tra le Province e il ministero di riferimento era di produrre la documentazione di candidatura facendo leva su tutti e quattro i 4 criteri naturalistici previsti dalla Convenzione Unesco. E' stata una scelta fondamentale, perché candidava le nostre montagne dichiarandole eccellenti per i loro caratteri scenici e paesaggistici, per quelli geologici e geomorfologici, per quelli biologico-naturalistici e per quelli ecologici ed ecosistemici. Dunque un'eccezionalità-unicità di rango mondiale per tutti gli aspetti biotici e abiotici di cui si compone la natura di questi luoghi. Ciascuno dei professionisti incaricati dell'impresa aveva da curare, per le proprie competenze, uno specifico criterio. A me è stato chiesto di curare anche il coordinamento del lavoro, forse anche per la mia duplice qualificazione di ecologo e pianificatore. Per questo mi venne affidato anche l'incarico di stendere anche il Piano di Gestione delle Dolomiti patrimonio mondiale. il documento di firerimento nella futura gestione del bene, nel caso fosse diventato parte di World Heritage List. A posteriori devo dire che l'avventura è stata splendida sotto il profilo umano, ma assolutamente logorante: si è dovuto costruire il metodo di un lavoro, di cui nulla si sapeva, in collaborazione stretta con decine di collaboratori appunto. Il cronoprogramma di dieci mesi non prevedeva pause, ferie, stanchezza: si contavano le ore. Ma abbiamo rispettato le scadenze. Già questa è stata una vittoria".

-Lei ritiene che le Dolomiti possano dientare una sorta di Far West, una terra di conquista per speculatori di vario genere?
"Se il Paese Italia (non sono state le Province, ma lo Stato, a candidare le Dolomiti) ha dichiarato con questo atto di candidatura la volontà di provvedere alla tutela del Bene, dovrebbe essere alimentata la speranza che le Dolomiti non divengano bersaglio di male intenzionati affaristi. Certo è che le molte dichiarazioni rilasciate da personaggi che contano nella politica e nell'economia, all'indomani dell'accettazione Unesco, non danno molto a sperare per un futuro di valorizzazione sana e corretta delle nostre montagne. Il rischio c'è. Ma ci sono anche le persone giuste perché si crei e si diffonda e si rafforzi una cultura di lavoro e di impresa per una crescita economica senza degrado. L'aver creato e mantenuto un paesaggio degno d'essere Patrimonio Mondiale è attività cui va riconosciuto valore e che, in qualche modo, va dunque pagata, ricompensata. Spetta alla gente delle Valli dolomitiche far valere questo loro impegno passato, e dunque difendere e valorizzare la cultura che ne sta alla base. Questa cutura è incompatibile, io credo, con la cultura di conquista che lei evoca con la locuzione Far West".

-Secondo lei quindi le Dolomiti patrimonio Unesco sono anche un riconoscimento ai Ladini come custodi millenari di valori culturali e ambientali impareggiabili?
"Al popolo dei Ladini va certamente riconosciuto un ruolo imporantissimo nella costruzione di una cultura montanara basata sul rispetto e sul mantenimento del capitale naturale, che è anche un capitale economiche che frutta reddito, non si può dire però che ciò non valga anche per altri popoli, che forse con altri percorsi storici e di metodo hanno saputo conquistare risultati altrettanto validi sul piano della gestione attenta del loro territorio. Credo sia assolutamente corretto e doveroso tenere alta la bandiera di un'appartenenza ad un gruppo ben preciso nel quale ci si intentifica e al quale si senta debba essere riconosciuto un merito per il mantenimento dei valori che oggi sono esaltati dall'Unesco. Ottimi dunque in questo contesto i risultati ottenuti dai Ladini, che sono ricchi di storia e carichi di meriti. Da parte mia viene l'invito a seguitare su questo cammino, ma anche a non trincerarsi sugli allori del passato, guardando piuttosto ad integrare,valorizzandoli, i propri meriti con quelli degli altri popoli vicini. Guai a perdere la propria identità in un contesto che produce rapidamente globalizzazione, che per molti versi è sinonimo di perdita di qualità, di degrado, di livellamento verso il basso. Ma questo non deve significare isolamento, nemmeno culturale, perché l'ecologia ci insegna i pregi della diversità, che è dare e ricevere contributi, che è motivo di forza, di resistenza, di ricchezza".

-Che cosa si può dire in conclusione dopo questa articolata disamina?
"Mi ha molto colpito il grande entusiasmo manifestato, dopo l'approvazione della candidatura, da molti importanti personaggi che poco o nulla avevano avuto consapevolezza del difficile cammino percorso. Mi hanno soprattutto colpito le molte considerazioni al riguardo della portata economica di questo successo italiano, e le sottolineature sul valore aggiunto all'area dolomitica in un contesto di economia turistica. Chi si è espresso in questi termini ha dimostrato poca attenzione per i contenuti della Convenzione Unesco e per il vero significato del cammino di cultura compiuto dal Pese e dalle cinque Province. Bisognerebbe che si meditasse almeno un poco sul ritiro della prima candidatura. Di fatto è stata una scelta obbligata, pena la bocciatura da parte dell'Unesco e l'impossibilità di riprendere daccapo il medesimo cammino. Si è dunque trattato di una mezza vittoria e di una mezza sconfitta. Non che i valori naturalistici non fossero evidenti e non degni della dichiarazione di eccezionalità! Si è imputata al nostro sistema amministrativo e gestionale una scarsa attendibilità quando si impegnava a proteggere le parti più preziose e vulnerabili del patrimonio di casa. E' probabile che qualcuno negherà questa evidenza; ma non passa giorno che non vi sia qualche nuova aggressione,spesso ignorata, ai gioielli naturali del nostro Paese, che sono una ricchezza collettiva. Una volta sperperato il capitale, nulla resterà ai nostri figli. Lo sapevano i montanari di un tempo, ma la loro saggezza sta svanendo, come il suo ricordo. La speranza è che ora si riaccenda l'orgoglio, e che si operi al meglio per mantenere eccezionalmente bella, sicura e confortevole la nostra casa comune".
FAUSTO PAJAR

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