Un veneto coordina gli aiuti al Pakistan "Dramma dimenticato"

Tratto da "Il corriere della sera" di Domenica 10 Ottobre 2010



















di Fausto Pajar

E' veneto l'uomo che coordina gran parte degli aiuti italiani al Pakistan devastato dalle alluvioni provocate dalle piogge monsoniche di agosto. Quelle alluvioni che il primo ministro Yousuf Raza Gilani, andando in tv, ha detto che hanno colpito venti milioni di suoi connazionali, quasi il 12% dei 170 milioni di cittadini dell'intero Stato asiatico, tentando con le cifre di richiamare l'attenzione del mondo su una tragedia di dimensioni bibliche che, diversamente dallo tsunami del 2005 e dal devastante terremoto di Haiti del gennaio scorso, non ha fatto breccia - come doveva - nell'immaginario delle nazioni ricche dell'Occidente. L'uomo veneto dei soccorsi, che questa situazione l'ha verificata personalmente e la conferma, è Marco Rotelli, classe 1974, nato a Schio (Vicenza), laurea in scienze politiche e realazioni internazionali in Italia a Francia, vocato alla cooperazione internazionale e all'aiuto umanitario, direttore generale di Intersos Ong, con esperienze in Africa e Asia in situazioni di crisi e aree di conflitto. In sostanza una giovane vita tutta spesa tra guerre e disastri per portare aiuto, per mediare nelle relazioni tra civili e militari, per integrare programmi umanitari di emergenza con quelli di postemergenza e sviluppo. A lui, al rientro momentaneo dal Pakistan chiediamo di precisare la situazione.
"Il Pakistan - afferma Rotelli - oggi è un Paese in ginocchio. I monsoni hanno scaricato enormi quantità d'acqua che ha travolto e allagato un'area più vasta dell'intera Italia e coinvolto 20 milioni di persone lungo il suo correre dai monti del Karakorum e Indu Kush e il mar Arabico. Circa il 70% delle riserve agricole del Paese sono andate distrutte. Gran parte del bestiame d'allevamento è morto annegando nelle acque e nel fango o a causa della quasi totale assenza di cibo. Lo strato fertile è stato dilavato da moltissimi campi in una zona a grande vocazione agricola. Si tratta di un'emergenza che dura da oltre un mese e che sta mettendo a dura prova la resistenza delle persone e del sistema dell'aiuto, nazionale e internazionale, che tra l'altro ha ricevuto solo la metà dei fondi necessari a far fronte ai gravissimi problemi in termini di salute,agricoltura, alloggio, cibo e via dicendo. Nei campi di sfollati e nei villaggi si stanno diffondendo rapidamente molte infezioni e malattie respiratorie, degli occhi e della pelle e purtroppo i più esposti sono i bambini e le madri".

-In quale località avete situato la base operativa?
"La zona operativa è stata scelta sulla base di criteri molto semplici: gravità della situazione e possibilità e qualità dell'intervento che saremmo stati in grado di realizzare. Sono state quindi scelte le aree alla confluenza dei due maggiori fiumi causa del disastro: il fiume Indo e il fiume Kabul. L'area dei distretti di Charsadda e Mowshera non lontano da Pesawar sono infatti tra le più colpite, dove la devastazioni e la perdita di vite umane è stata tra le più violente. E' anche un'area che personalmente conosco abbastanza bene, avendo già lavorato in Pakistan negli anni scorsi e questo facilita un po' l'aziene potendo contare su una rete di contatti e collaboratori".

-Da quante persone è formato lo staff di intervento Intersos in Pakistan?
"In crisi del genere cerchiamo di predisporre una squadra piccola e dinamica aggiungendo collaboratori a seconda delle azioni che dobbiamo sviluppare. Per definire l'area, le modalità e i tempi di un'operazione, ad esempio una distribuzione di cibo, possono bastare 4 o 5 persone. Per svolgerla invece, è necessario distribuire il lavoro a circa 30 persone, dagli autisti dei camion agli addetti alle liste di distribuzione, allo scarico del materiale e così via. Generalmente molti di questi aiutanti provengono dalla comunità che si intende aiutare assicurandosi che la comunità stessa sia così pienamente coinvolta nelle operazioni a loro beneficio e non sia un mero ricevente dell'aiuto".

-In quali stettori siete specializzati?
"Abbiamo competenze diverse: logistiche, di protezione dell'infanzia e dei disabili, che in queste condizioni rischiano di venire esclusi dall'accesso agli aiuti, e infine di coordinamento, per assicurarsi che tutti si muovano secondo un piano comune sapendo perfettamente cosa fanno gli altri e dove devono intervenire loro".

-Ci sono anche altri veneti oltre a lei?
"In questo caso la squadra internazionale è tutta italiana. Abbiamo collaboratori liguri, trentini, laziali, ma per ora sono l'unico rappresentante del Veneto".

-Quali interventi avete già compiuto in quei luoghi?
"Abbiamo diviso l'operazione in tre fasi: prima emergenza, riavvio della normalità e ricostruzione. La prima sta lasciando spazio alla seconda, infatti se in alcune zone è ancora necessario distribuire cibo, acqua potabile e beni di primissima necessità, come pentole e stoviglie, in altri villaggi, dove le persone sono tornate alle loro case distrutte, si stanno organizzando dei piccoli sistemi di distribuzione dell'acqua e si stanno fornendo i materiale di base per costrtuire un tetto sotto il quale allestire almeno una stanza temporanea. Per la terza fase ci stiamo organizzando per intervenire a supporto del riavvio dei mezzi di sostentamento delle famiglie, in particolare supportando la ripresa della produzione agricola. Questo è un aspetto fondamentale. Solo se gli agricoltori saranno in grado di seminare e produrre, potranno garantirsi il futuro. Se noi falliremo questo obiettivo, il Paese scivolerà ancora più in basso, avrà bisogno di assistenza alimentare".

-Avete portato con voi materiali, quali?
"Questa cristi ha colpito il Pakistan soltanto pochi mesi dopo il terremoto di Haiti. Molte organizzazioni non aveno ancora raccolto fondi sufficienti per ripristinare i magazzini di materiali per l'emergenza. E' stato quindi necessario acquistare tutto direttamente in Pakistan, nelle zone non colpite e trasportarlo nelle zone di intervento. Abbiamo acquistato cibo, in particolare farina in sacchi, trasportato con cisterne l'acqua potabile per alimentare dei gossi serbatoi e conseguentemente le taniche di ogni famiglia. Stiamo procurando ghiaia, zappe, badili per ripristinare alcuni tratti di strade indispensabili alle famiglie per raggiungere i mercati e riprendere le attività. Infine stiamo procurando travi, teli di plastica e tegole per ricostruire i tetti delle case e piccole attività commerciali".

-Lei ha detto che non c'è solo il problema dell'acqua: quali altri problemi dovete affrontare oltre alle conseguenze dell'alluvione?
"Il Pakistan, in particolare, nelle zone citate, vive da anni una situazione di grave crisi politica. La zona di confine con l'Afganistan è molto turbolenta e insicura. Gli attentati si susseguono. Quelli gravi sono quasi quotidiani in questo periodo. L'attività di matrice talebana è un problema ben più noto di questa alluvione e di certo non semplifica l'azione umanitaria. Alcune aree sono di difficle accesso proprio a causa dell'insicurezza e delle minacce, ed il risultato è che la gente rischia di non ricevere l'aiuto. In questo momento si sta giocando una partita molto importante. L'aiuto umanitario ha tutte le possibilità di dimostrare tutti i valori che lo spingono e lo motivano. La solidarità internazionale, l'indipendenza, la neutralità e l'imparzialità. Le persone hanno molti bisogni e altrettante aspettative. Se a causa degli scarsi finanziamenti a questa crisi pressoché ignorata dai media italiani, non riusciremo a rispondere venendo incontro alle aspettative delle persone colpite, lo farà certamente quancun altro, riempiendo un vuoto che avremo lasciato noi occidentali, incapaci di accorgerci della gravità della situazione e di rispondere con quella convinzione e determinazione che ha permesso di raggiungere grandi risultati in altre catastrofi. Per citarne due: terremoto di Haiti e tsunami dell'Oceano Indiano. Abbiamo la possibilità di essere concreti e di dimostrare che i nostri valori si traducono in aiuto reale e tangibile dove e quando serve. Arrivare a mani vuote significa infrangere aspettative di chi dell'aiuto ha comunque bisogno e lo sercherà altrove".

-Noi cittadini comuni cosa possiamo fare eventualemente per alleviare le sofferenze e le difficoltà della gente colpita dagli eventi catastrofici in Pakistan?
"Sono proprio i cittadini comuni che fanno la differenza. La prima cosa da fare credo sia una riflessione. La seconda un'azione. Non esistono dolori di serie A o d serie B. Se vogliamo aiutare persone che soffrono, in questo momento in Pakistan c' è bisogno di aiuto e subito. Quello che mi preme sotolineare è che le vittime e le persone coinvolte in queste situazioni sono le famiglie. Non i governi, non gli eserciti. E le famiglie, come ovunque nel mondo, sono composte da bambine, bambini, madri, padri, anziani. Ognuno di noi può entrare in azione edare un aiuto concreto tramite le organizzazioni che sono al lavoro direttamente sul posto e che trasformano i contributi in sacchi di farina, in taniche d'acqua, in medicinali e via dicendo. L'organizzazione INTERSOS ha aderito all'apello di AGIRE, l'Agenzia italiana per le risposte alle emergenze, rete di organizzazioni che insieme hanno scelto di unire le forze per rispondere in modo tempestivo alle grandi emergenze umanitarie. E' possibile darci i mezzi per aiutare le persone in Pakistan con un semplice Sms di due euro al 45504 da Tim, Vodafone, 3, CoopVoce e Noverca o da rete fissa Telecom Italia fino al 27 settembre. Gli approfondimenti sono sul sito www.intersos.org e www.agire.it ".

-Probabilmente il discorso non si esaurisce qui. C'è anche qualcosa da aggiungere.
"La copertura dei media italiani di questa crisi è stata straordinariamente bassa e, anche a causa di questo, molte persone non hanno realmente capito la gravità della situazione. Purtroppo la crisi continua. L'equivalente di un terzo della popolazione italiana è in grave difficoltà e non è possibile rimanere fermi. Un aiuto da parte di tutti è ora determinante".

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